Finalmente la laurea, finalmente un ciclo che si chiude. Esattamente un mese fa tre anni di università si sono chiusi dentro una stanza dalla porta color verde acqua (uno dei miei preferiti al momento). Tre anni di università che dietro si portavano: sei mesi di scambio alla City University of New York, dove mi sono appassionata all’argomento della mia tesi, la letteratura elettronica; tante amicizie trovate e ritrovate; ore e ore di studio che alla fine ti rendi conto essere state veramente tante; un amore finito che ti chiedi se veramente fosse mai iniziato o se non fosse soltanto una tua impressione; un viaggio in Portogallo con quella che sarebbe diventata la tua migliore amica se poi non ne fossero successe di tutti i coloi; litigi e paci. Insomma, tutto quello che tre anni di vita universitaria fuori casa possono significare, con l’aggiunta che li hai vissuti in prima persona, quindi sembrano sempre più interessanti, speciali e unici di quelli di chiunque altro.
Quel giorno, quel 13 aprile, rimarrà nella mia memoria per tanti motivi, ma specialmente per uno: quel 13 aprile si è materializzata la profezia che avevo elaborato ma in cui non volevo credere. Una tesi sulla letteratura elettronica che ovviamente hai intenzione di presentare al computer. “Il computer non funzionerà , lo so.” Ma cosa dici, tutte suggestioni.
E invece: niente. Zero connessione internet, nessun tecnico nei paraggi che potesse dare una mano, nessuno e niente di niente che potesse salvare la situazione se non un po’ di sana sfacciataggine e di salutare parlantina. E disegnare e far vedere con le parole quello che dovrebbe essere fatto di bit e 0/1. Una beffa del destino? Forse.
Forse era un modo per mettermi alla prova, e dimostrare che anche se la tecnologia aiuta e può essere una risorsa eccezionale, qualche volta decide di incepparsi, e a quel punto non c’è altro da fare che ricorrere alle risorse primarie del nostro essere umani. Aprire la bocca.
Forse, piuttosto, era solo sfortuna. Quella tenera sfortuna che non è proprio sfortuna, è un piccolo ostacolo che ti si para davanti per darti un po’ fastidio e per far sì che tu lo chiami sfortuna, giusto per dare la colpa a qualcuno che non sia la tua ansia che non ti ha fatto controllare per tempo se tutto fosse apposto, o la tua fretta di uscire di casa che non ti ha fatto prendere il tuo computer. O forse era lì per marcare quel giorno in maniera indelebile. Così per sempre ti ricorderai di quando ti sei laureata, con una tesi sulla letteratura elettronica, e il computer, di tutta risposta, non funzionava.