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Prima di entrare nel merito dell’argomento della tesi in sé, credo sia necessario fare alcune precisazioni su come esso abbia influenzato il formato stesso della tesi e su come quest’ultima sia giunta ad assumere un tale aspetto. Anche, un tale aspetto.
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Ma procediamo con ordine: un giorno non meglio specificato mi incuriosii di questa letteratura elettronica. Ne avevo sentito già parlare ma la mia nozione di cosa fosse esattamente era piuttosto confusa. Elettronica nel senso di libri di carta trasportati nella rete? Elettronica nel senso di e-books? Ora che riesco a rispondermi, mi dico: Non esattamente. Quando parlo di letteratura elettronica mi riferisco a lavori creati utilizzando strumenti che lavorano in digitale e che quindi hanno bisogno degli stessi strumenti per essere letti. Più in generale, letteratura elettronica è un’etichetta per tutti quella letteratura che non vive sulla carta stampata. Né del resto potrebbe: per essere sicuri che qualcosa possa essere chiamato “letteratura elettronica” basta provare a portarlo su carta: se l’effetto che sortisce non è quello aspettato, o se addirittura non sortisce alcun effetto, allora quella è letteratura elettronica.
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Questa semplice e immediata controprova dimostra un principio chiave, su cui a mio avviso si basa la stessa letteratura elettronica e che ha guidato la sua nascita: il mezzo che scegliamo per creare un qualsiasi esemplare di letteratura influisce enormemente sia sulla sua ricezione sia sul processo creativo che l’ha generato. La spartizione dei beni tra i due figli del formalismo russo, la forma e il contenuto, è ancora di grande interesse (letterario-)giuridico nei tribunali della letteratura contemporanea.
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“Electronic literature arrives on the scene after five hundred years of print literature [. . .] readers come to digital work with expectations formed by print, including extensive and deep tacit knowledge of letter forms, print conventions, and print literary modes. Of necessity, electronic literature must build on these expectations even as it modifies and transforms themâ€
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Così dice Katherine Hayles in “Electronic Literature: New Horizons for the Literary”. Il mezzo stampa dunque è quello che ancora vincola la nostra idea di letteratura, ma qualcosa cambia se alla carta sostituiamo lo schermo e all’inchiostro il bit. La consapevolezza di ciò è stata la prospettiva da cui ho sempre cercato di valutare ogni esemplare più o meno riuscito di letteratura elettronica.
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Allora ho iniziato a scrivere qualcosa, a buttare giù appunti, a leggere libri che più o meno toccassero l’argomento, a cercare saggi o articoli su Internet per capire se qualcuno prima di me si era occupato di queste cose, come si fa regolarmente per iniziare un qualunque lavoro di ricerca, anche se questo sembrava essere un po’ fuori dalle righe. Con mia grande sorpresa ho scoperto non solo che il campo era molto più vasto e ricco di quello che immaginassi, ma che addirittura, a voler cercare un’origine,  si poteva risalire fino agli anni ’50, quando i primi computer erano apparsi sulla scena. Già allora c’era chi aveva tentato, ad esempio, di fare poesia utilizzando il codice della macchina, o chi aveva usato i primissimi software di videoscrittura, che rendevano il computer qualcosa di leggermente diverso da una semplice macchina da scrivere, per comporre fantasiose composizioni tipografiche. Insomma, non mi stavo avventurando in un terreno proprio sconosciuto. Confortante sapere che l’apparente stranezza dell’argomento che mi accingevo ad approfondire non era poi figlia di nessuno.
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Sentivo però che proprio in virtù di questa stranezza non potevo affrontare la ricerca in maniera convenzionale. Per parlare di letteratura elettronica avevo bisogno di mezzi che, coerentemente col contenuto della mia tesi, mi aiutassero a guardare al tutto da una prospettiva più “digitale”. Da qui sono nate le idee che rendono il lavoro a mio avviso non convenzionale da un punto di vista formale ma in linea con i contenuti che espone:
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- Grazie al New Media Lab ho potuto aprire un sito, ospitato dal server della CUNY e utilizzando WordPress, che mi permettesse di mettere il mio progetto su internet e “bloggare” su quello che trovavo a spasso per la rete. La mia idea era di dimostrare che la letteratura contemporanea in  forma e contenuto non ammazza quella libresca ma anzi, è viva, attiva e coinvolgente ugualmente. Certo, come ci sono brutti libri, ci sono brutte poesie digitali, ma non per questo tutto quello che viene prodotto su Internet è da considerare spazzatura solo perché non rispetta il canone, dal punto di vista della forma e di conseguenza anche dei contenuti, della carta stampata.
- Non mi bastava però di parlare “elettronicamente” di quello che stavo trattando. Visto che è il computer il mezzo principale per fare letteratura elettronica, e visto che anche io ne possiedo uno, come legge di mercato vuole, allora potrei provare a fare anche io qualcosa, a creare la mia letteratura e vedere cosa si prova ad essere un autore, quali siano le impressioni dal di dentro di tutta questa faccenda. Sempre grazie al New Media Lab ho trovato il sostegno tecnologico e creativo di cui avevo bisogno.
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Poi da ultimo sarebbe arrivata la tradizionale versione cartacea, basata principalmente su quanto di buono il blog e il sito sarebbero riusciti a produrre. Fin qui tutto regolare. Poi un imprevisto ha cambiato le cose.
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Il New Media Lab tiene una riunione al mese in cui i vari sviluppatori di progetti espongono i propri lavori. In quanto parte del laboratorio anche io, una piccola e temporanea parte, è arrivato anche per me il turno di presentare le mie fatiche. È un ottimo modo quello di riunirsi e ascoltare le presentazioni perché permette, a chi presenta, di ricevere un feedback immediato su quello che sta facendo, e a chi ascolta, di carpire idee e condividere esperienze. Proprio durante una di queste riunioni, l’ultima per la precisione, è arrivato il mio turno. Ho spiegato quale fosse l’argomento della tesi, come stessi  lavorando, perché avessi deciso di affrontare un tale argomento. I commenti sono stati ampiamente positivi e soprattutto sono stati numerosi. Ho capito che parlare di quello che si sta facendo e soprattutto avere con chi condividerlo è il modo migliore per riuscire a guardarsi dal di fuori e individuare e correggere i punti deboli.
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Questa riunione però è stata illuminante soprattutto in un altro senso: quando ho nominato il blog, un professore di cui non ricordo il nome mi ha sollevato la questione, assolutamente non da sottovalutare, del fatto che in un blog i commenti vengono sempre alla fine. E il bello di un blog sta proprio nel commento, non tanto nel pezzo di testo pubblicato di per sé. Ho risposto che ero consapevole del fatto ma che non avevo idea di come ovviare alla cosa. In mio soccorso è spuntato un altro professore, Drew Lynch, che mi ha presentato questo digress.it. Forse non faceva proprio al caso mio per quanto riguarda l’altro blog, in cui i commenti sono ancora pochi e comunque va bene se riguardino tutto il testo, ma per la tesi in sé poteva tornare utile. È per questo che ho pensato di utilizzarlo. Con un blog avevo iniziato. Con un altro blog mi piacerebbe concludere.
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ho scoperto l’esistenza di quello che sto utilizzando ora, digress.it. Un blog che permette di lasciare commenti non a fine pagina ma direttamente accanto ad ogni singolo paragrafo. Bizzarro, mi sono detta, ma utile, se si considera il fatto che quando si scrive un blog i commenti vengono sempre rimbalzati alla fine e bisogna scorrere giù fino a fine pagina per leggerli. Con un blog ero partita, con un altro blog